Timoria, termine derivato dal greco (τιμωρια), che può significare punizione ma anche vendetta. La fonte, Wikipedia naturalmente, continua poi dicendo: “È proprio il desiderio di rivalsa, soprattutto nei confronti di chi li ha sempre giudicati dei perditempo, a spingere i musicisti della formazione alla scelta di questo nome“.
Poche ore fa, ho avuto la fortuna (e questa volta lo è stata davvero) di ascoltare dal vivo uno dei miei compositori/poeti/musicisti preferiti. Arrivato nella piazzetta del centro cittadino, qui a Santa Teresa Gallura, dove mi trovo, tutto pensavo, ma non di vedere un giovanotto di 48 anni, regalarmi una performance talmente intrisa di energia, pathos, passione e ricordi, come quella che invece, in poco meno di un’ora e mezza, il Neil Young di Brescia, al secolo Pedrini Omar, ha regalato al paio di migliaio di persone che lo stavano ad ascoltare. Se qualcuno si sta immaginando performance atletiche, salti sulla folla, chitarre distrutte o “tonsille da 6000 watt” beh, no…niente di tutto questo, semplicemente, di più.
Per chi conosce, anche solo a grandi linee (come me d’altronde), la storia di Omar, la storia che l’ha legato al suo gruppo, i Timoria, e che poi l’ha visto solista e (forse) anche solo, è facile ricordare quella malinconia, quella tristezza e forse anche un po’ quel complesso di inferiorità che chi, come i giovani Timoria, avevano addosso e hanno trasmesso alle loro canzoni, per essere quei ragazzi di provincia che tentavano con quella musica, per allora molto insolita (fine anni ’80, dove si cantava, salvo eccellenti eccezioni, per forza solo in inglese la musica rock) di emergere e di ambire ad arrivare al centro. Magari alla così vicina ma anche così lontana, Milano…ma si sa, e l’hanno saputo bene esprimere i Timoria stessi, che “Milano non è l’America”. Insomma, ieri sera mi ci sono proprio ritrovato, vedendo l’anima di questo gruppo esibirsi dal vivo per la prima volta, nelle sue canzoni, nel senso che aveva voluto dargli 20 e passa anni prima. Per questo motivo la performance è stata energica, passionale, evocativa. Non c’è niente di più energico, passionale ed evocativo, del capire e/o dell’essere capiti (e si provi pure a sostenere il contrario…). Poi ho fatto un breve excursus delle loro canzoni che mi ricordavo sul momento ed era proprio evidente. Capivo il disagio di chi si sentiva legato alla propria terra, alle proprie conoscenze, alle proprie abitudini, ma che nello stesso tempo gli stava tutto stretto. Capivo che quelle canzoni che parlavano a volte della vita della provincia, mettendone in risalto tutti i difetti, ma a volte anche i pregi, a volte di terre lontane, di mercanti, di viaggi, erano un perfetto filotto di concetti facenti parte di un discorso lineare e coerente. Lo capivo, o almeno, questa è l’interpretazione che gli ho dato io, ma siccome tutto è interpretazione, va bene così. Passione ed energia. Passionergizzante. Capire e rendersi conto che qualcuno (chi ha scritto quelle parole appunto) ti potrebbe capire. Cose così le scrivi se puoi giustificarle dentro di te, se le senti davvero e se, in un modo o nell’altro, le hai risolte o stai comunque tentando di farlo. Insomma, non stiamo parlando di “solecuoreamore”! Omar, a me, è sembrato uno che ha sempre voluto continuare a risolvere questa parte di sé, che non ha ceduto a certe lusinghe e che, porca puttana, ce l’ha fatta! Sereno, tranquillo e a proprio agio a suonare in quella che era poco più di una sagra di paese, quasi consapevole, che chi, in quella serata di mezza estate, stava cercando qualcosa, l’avrebbe apprezzato. Se sei te stesso, d’altronde, qualcuno che ti apprezza lo trovi sempre fra la marea di quelli che ti vorrebbero fare le scarpe…
Ad ogni modo alla fine non ho resistito ed ho fatto una cosa che non ho fatto mai nonostante gli anni di concerti e passione musicale…sono andato a cercarlo, con la scusa della foto, ok, ma con la speranza -devo ammettere, quasi la consapevolezza-, che qualcosa di più di un selfie, sarebbe arrivato. E, incredibile davvero (ma anche non più di tanto), dopo che gli ho stretto la mano e gli ho detto “Ciao Omar, sono Matteo, visto che a fare una foto con mia sorella sei stato molto veloce due secondi fa, ne faresti una anche con me?”. Lui mi fa, in piena tranquillità e in mezzo a diecine e diecine di persone che spingevano per questa benedetta foto, “Ciao Matteo, da dove viene te?” Rispondo “Sono di Belluno”. “Cazzo di Belluno…” Si ferma un attimo e mette le mani ai fianchi come a voler sapere di più e infatti “Come siete messi lassù dopo quel che è successo?” [si riferiva all’alluvione avvenuta nelle valli del Cadore un paio di settimane fa]. Beh, dopo avergli detto che la situazione stava migliorando, mi stringe ancora la mano, mi menziona brevemente il Vajont, esclamando veramente con tono pacato e quasi sottovoce “Mi vengono sempre i brividi quando ne sento parlare”. Alla fine facciamo questa benedetta foto e conclude, “Quando vengo a Belluno ci dobbiamo vedere!”. Il tono era convinto. Il mio annuire credo lo sia sembrato meno.
A parte quelli che possono essere questi convenevoli finali tuttavia, in quelle due parole che abbiamo scambiato, nel linguaggio non verbale, in qualche strana vibrazione della sua voce, io l’ho percepito come autentico, sincero. Non tanto lui, anche lui, ok, ma ho percepito ciò che fa, e che aveva appena terminato di fare, la sua musica, come autentica. La sua ricerca di un vero feeling con la gente, anche attraverso due parle scambaite al volo. La musica quindi, come ciò che dovrebbe essere, la risoluzione di sé stessi prima ancora che un dono a chi la ascolta, o -nella peggiore delle ipotesi-, di un mero intrattenimento pilotato da logiche di guadagno. Le parole hanno poca importanza, risultano spesso mendaci, ma anche se a Belluno non ci rivedremo mai, caro Omar, ti assicuro che questa bugia te la perdono! La vendetta di Omar è questa secondo me. Non tanto far vedere ai suoi detrattori che non era un “perditempo” (gli heaters ci saranno sempre e nessuno avrà mai ragione del tutto su queste persone), quanto piuttosto che il suo mestiere lo si può fare semplicemente come andrebbe fatto. Con la sua poesia “moderna” ha emozionato, condiviso, ma soprattutto detto, ciò che qualcuno che lo ascoltava, aveva bisogno di sentirsi dire, in maniera sincera, e, lo ripeto ancora una volta, coerente con quello che è il suo mestiere. Il poeta fa questo, il musicista fa questo, l’artista fa questo. Se non si fa capiere, chi prima e chi poi, non ha fatto il suo dovere, non è né poeta, né musicista, né artista. La musica e l’arte più ingenerale non è, e non deve essere, fine a sé stessa. E poi, cosa posso dire per non essere ripetitivo…“Signore e Signori, ecco a voi, ancora una volta, il miracolo della musica, è servito”.
#grazieomar
