Oggi mi sono preso un’ora. Un’ora dal mio lavoro. Non lo faccio se non per cose che riguardano la famiglia o la salute. E non amo i social network, ma ahimè, mi sa che sono un buon modo per non perdere traccia di quello che si vuol tenere a mente. La disabitudine ad archiviare il cartaceo ha preso il sopravvento anche su di me. Questo articolo non avrà hashtag, non serve accalappiare views (credo si dica così) o cose di questo tipo. Serve a me. Serve a me per capire che nella vita vanno messe in fila le cose importanti, prima loro, poi il resto. Se qualcuno lo leggerà e gli piacerà o lo troverà interessante, ben venga. Se qualcuno riterrà le argomentazioni incomplete, parziali, fuori luogo, pazienza. Lo scrivo per me. Linkedin è l’unico social che apprezzo perché di solito non ci si scanna per delle idee diverse tra loro. Di solito. Ma l’argomento è spinoso e non so se andrà così anche in questo caso. Pazienza in ogni caso.
Oltre a quella dove vivo e dove sono nato, io ho avuto un destino legato ad un terra. Fin da piccolo, da ragazzo e poi da adulto, ho frequentato la Venezia Giulia. La Venezia Giulia -giusto per inquadrare, e so di non essere ridondante in questo- è un territorio che parte dal basso Friuli, attraversa le provincie di Gorizia e Trieste e finisce per comprendere l’Istria con la città di Fiume e parte della costa dalmata. Ripeto: solo per inquadrare dove siamo, mi scuseranno i geografi se non sono stato troppo preciso. Questa terra, una volta l’anno, da qualche anno, viene tirata in ballo per il cosiddetto “Giorno del Ricordo”. Il ricordo dovrebbe essere quello delle stragi di migliaia di italiani uccisi e buttati in quelle cavità carsiche del terreno, notoriamente chiamate “foibe”. “Uccisi e buttati” poi, è pure fuorviante…spesso erano legati tra loro, ne uccidevano uno con un colpo in testa, questo cadeva nella foiba e trascinava con sé gli altri (ancora vivi) dentro a tale cavità, profonda spesso centinaia di metri. Credo tutti sappiano che i fautori di queste stragi furono i partigiani titini sempre alla caccia dei pericolosi criminali nazi-fascisti che disarmati e senza nemmeno più gli occhi per piangere, risiedevano da secoli in quelle regioni. E con questo non voglio dire che da secoli erano territori italiani, ma che vi risiedevano persone di nazionalità, lingua e cultura italiana. Ed in ogni caso persone, persone in carne ed ossa. Ma qui non si vuole fare storia, io non sono titolato a farlo e anche se lo fossi dovrei citare una serie infinita di fonti che, dopo mezzo secolo, stanno venendo a galla. Non è questo lo scopo. Il mio scopo, in realtà, è duplice: da un lato l’amore per quelle terre, un’attrazione per quella gente, un’attrazione per quei ricordi che sono quelli che più frequentemente affiorano nella mia mente e che naturalmente mi viene di alimentare. Uno scopo personalistico questo. Dall’altro la questione è intellettuale. Di onestà intellettuale direi, perché sono stufo di vivere con persone che non si pongono mai il problema della coerenza e dell’onestà a suon di GF VIP!
Per quanto concerne i sentimenti, la cosa è presto detta: se passi del buon tempo, del tempo buono, voglio dire, con dei luoghi o delle persone, è scontato che poi nasca l’attrazione e l’amore per quei ricordi e la voglia di parlarne. La problematica intellettuale è invece legata al fatto che manca ancora una vera parificazione non solo tra certe vittime di certi carnefici e certe altre vittime di certi altri carnefici, ma manchi in toto il senso della gravità che quanto è successo in quelle terre settant’anni fa, non sia ancora celebrato, ricordato e condiviso a tutti i livelli della politica, della società e dell’educazione, sia dai vinti che dai vincitori. Sia da chi cerca di far valere la voce delle minoranze, sia da chi oggi detta quella che dovrebbe essere la supremazia ideologico-culturale da applicare alla società. Dal 2004, a “soli” sessant’anni da quelle stragi, esiste una legge a “tutela” del ricordo di questi eccidi. Non so cosa tuteli di preciso questa legge – sarebbe opportuno chiederlo ai parenti delle vittime-, forse serve solo, ogni 10 di febbraio, a scongelare il nostro Capo di Stato e a farlo andare a Bassovizza a dire due Ave Maria e a fare il minuto di silenzio. Nelle settimane antecedenti alla giornata di oggi, quando tutti sapevano giustamente e incontrovertibilmente (voglio essere chiarissimo su questo concetto) cosa si celebrasse il 27 gennaio, nessuno mi ha saputo dire cosa si celebrasse il 10 febbraio. L’ho chiesto a tante persone, davvero ad un buon campione di gente. Io stesso, sia a scuola che all’Università (con dalla mia 2 esami di storia alle spalle, oltre agli anni della scuola superiore), ho sempre visto affrontare l’argomento in maniera superficiale per non dire faziosa…“e poi c’erano i partigiani di Tito, che a seguito delle atrocità commesse dalle forze nazi-fasciste agivano con rappresaglie tra i sostenitori del regime….e quindi ecco cosa sono le foibe”. Non è corretto. Non solo per il rispetto dovuto alle vittime e ai loro parenti, ma perché cosi facendo se ne esce sconfitti come umanità, come razza umana. Ci si espone al rischio che – a prescindere da quale fazione possano giungere – tali tragedie si ripresentino e, ipotesi ancor più plausibile, il rischio è quello che non vi sia mai una pacificazione tra le genti. Fintantoché si insegna che la verità e la legittimazione di certi gesti stia al 99% da una sola parte, avremo sempre conflitti tra le persone. Ci abbiamo messo 60 a riconoscere l’esistenza di un fenomeno che persone ancora in vita potevano tranquillamente testimoniare. Quasi cinquant’anni per poter liberamente cominciare a studiare il fenomeno e insegnarlo nelle aule (insegnarlo, è ancor oggi una parola grossa per dire il vero…). Le cose devono stare in equilibrio, altrimenti entra in azione la legge di compensazione e a volte questo non è desiderabile, a volte questo è tragico.
“Tutto fluisce e rifluisce; ogni cosa ha le sue fasi;
tutte le cose s’innalzano e cadono; l’oscillazione del pendolo si manifesta in tutto;
la misura dell’oscillazione a destra è la misura dell’oscillazione a sinistra;
il ritmo si compensa.”
(Il Kybalion)
Vabbè, ora non ho davvero più tempo di scrivere perché mi chiamano da tutte le parti e torno al lavoro. Comunque, se non si fosse capito, oggi è il Giorno del Ricordo, oggi è il 10 febbraio, giorno scelto dalla Repubblica Italiana per ricordare (si spera, per sempre e con la dovuta “enfasi”), l’eccidio ignobile, senza scopo militare e senza alcuna considerazione per la razza umana, perpetrato tra il ’43 e il ’47 (a guerra finita), dai partigiani comunisti del Maresciallo Tito (Josip Broz Tito) – ancora oggi insignito della medaglia di Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana -, ai danni di diecine di migliaia di abitanti della Venezia Giulia di nazionalità italiana (forse solo “Istriani”, come loro, verosimilmente, si definiscono) sospettati di cospirazione e di appoggio al regime fascista, ma con lo scopo, nemmeno troppo celato, di perpetrare una vera e propria pulizia etnica. Erano uomini ed erano donne. Ah, poi c’erano i bambini, bambini come Liliana Segre e Anna Frank, ad esempio.
