Siamo tutti italiani in tempo di mondiali
Anche i più distratti, anche chi -beato lui- non sa bene cosa sia l’expo o non sa cosa sia il Mose, avrà sicuramente ascoltato, seppur marginalmente, le cronache relative al malaffare, alle tangenti e ai conseguenti scandali che sono saliti agli “onori delle cronache”, per le grandi opere pubbliche che sono state avviate nel nostro paese (“nostro” per chi lo considera suo, ovviamente…). Lungi da me commentare nel merito quanto successo (in Italia abbiamo centinaia di quotidiani che lo sanno fare sicuramente benissimo, ognuno con la visione preferita dal proprio lettore di riferimento). Quello che ho trovato interessante, invece, è la risonanza che ha avuto tra i miei “amici di facebook” (è nato questo neologismo da qualche tempo che mi fa sbellicare dalle risate…”Chin yong ming, è mio amico di facebook, è cinese e vive in Cina, ho accettato la sua amicizia”…) la questione dei suddetti scandali. Ho campionato, se così si può dire, i commenti in due gruppi: coloro i quali ne fanno una questione “etnologica” e chi, invece, ne parla in termini di “politica corrotta, malata, ladra”. I primi colgono l’occasione per dire che non è solo al sud che rubano, che i Veneti sono ladri quanto i Siciliani, che i Milanesi fanno affari con la ‘Ndragheta quanto i Calabresi e che ciò è grave in quanto questi ultimi -gli appartenenti al Regno Lombardo-Veneto per intenderci- si sono sempre posti come i paladini della moralità e della legalità. I secondi, forse un po’ delusi da loro governanti (che probabilmente hanno pure votato…), dicono che i veri Veneti, i veri Lombardi, i veri Padani, ora scacceranno questi infami-corrotti che si sono presi gioco dei propri conterranei e che è giunto il momento di ristabilire le differenze morali tra il popolo settentrionale e quello meridionale. Come sempre insomma, l’italiota medio, ne fa una quesitone di tifo calcistico. Personalmente ho la mia idea, e credo che alla fine le due visioni che ho cercato di sintetizzare sopra, abbiamo entrambe un fondo di verità. Ma qual è la cosa che mi ha colpito (anche se non più di tanto alla fine)? Che si vede come nessuno, o quasi nessuno, si sia semplicemente “scandalizzato”. Scandalizzato senza aggiungere altro. Senza farne una questione di appartenenza “regionale”. Pensate che se fosse successa una cosa simile nel Regno Unito, a Londra, tanto per farla semplice, un cittadino di Leeds avrebbe detto “Ecco il solito londinese in combutta con i poteri forti”? Io credo di no! Si sarebbe semplicemente scandalizzato del fatto che un politico il quale viene comunque pagato con i soldi delle tasse che lui versa, si fosse comportato in quel modo, avesse sfruttato la sua posizione per trarre vantaggio personale, in sostanza, si sarebbe scandalizzato per il furto, non semplicemente per il ladro. Perché? Perché evidentemente, per un inglese, è più facile fare il ragionamento “rubo, quindi vengo condannato, quindi vado in galera e restituisco -possibilmente- il maltolto”. Accade un danno, consegue una riparazione del danno. Noi no. Noi, anche inconsapevolmente, siamo orientati a discorsi di appartenenza (Juve, Inter, Milan, Forza Italia, PD, 5 stelle, Coppi, Bartali, Don Camillo, Peppone…ecc ecc). Lasciamo perdere il problema e non cerchiamo la soluzione. Non arriviamo nemmeno ad elaborare un sillogismo immediato come quello sopra descritto (cagioni un danno, vieni condannato e paghi). La parola “scandalo” la usiamo solo per bollare colui che non appartiene a noi, alla nostra cerchia, al nostro status. E’ giusto tutto ciò riferito al concetto di nazione quindi? Non credo. Se crediamo di essere un popolo unito, sovrano e con un’ identità ben precisa, non ha senso. Non è giusto far prevalere la contrapposizione tra aree o regioni di uno stesso territorio nazionale. Non è giusta la politica dello scaricabarile, dell’affibbiare responsabilità al Veneto o al Siciliano, al polentone o al terrone. Non è giusto distogliere l’attenzione dal vero scandalo, che non è l’essere del nord o del sud. Il vero problema è, per l’appunto, “lo scandalo”, non la caccia al colpevole o la ricerca del capro espiatorio. Il colpevole, è “automatico” che debba pagare! Se l’Italia, o meglio, se l’italiano, superasse il concetto della caccia al colpevole, nordista o sudista che sia, emergerebbe lo scandalo (certo emergerebbe anche il colpevole, chiaro!), e subito dopo emergerebbe la soluzione e le probabilità che lo scandalo non si ripresenti, sarebbero più elevate. Ma noi, siamo una nazione? Condividiamo qualcosa che ci accomuna e che ci serve ad andare avanti assieme al di là del 4 novembre, del 25 aprile e del 2 giugno? Qualcosa di più del tricolore sbiadito esposto nei nostri terrazzi? Può essere oggi l’Italia considerata come qualcosa di diverso da una pura definizione geografica? Ci abbiamo provato. E’ dagli inizi dell’800 che ci proviamo. Sulla carta ci siamo anche riusciti. Attraverso i giochi di potere ci siamo riusciti. La volontà di cambiamento, però, nasce dalle persone. Sempre. Non certo da un singolo patriota, non certo da un presidente che invoca l’amore per una nazione che oggi, come ieri, è sempre stata solamente un concetto geografico, appunto. Quanto ci sta costando l’insistere su questa strada da 200 anni? Quanto ha portato in termini di vantaggi per le persone e i popoli? Difficile dirlo. Ad ogni modo, tranquilli, ora abbiamo i mondiali, l’Italia è fuori e per questo ne abbiamo da parlare anche di più che se fosse ancora in gara. Mi chiedo solo se sia forse rimansto questo l’ultimo e misero baluardo a difesa dell’unità nazionale. Prendere coscienza di ciò, tuttavia, potrebbe aiutarci a capire che forse l’utopia dello Stato Nazione che chiamiamo “Italia”, così com’è oggi, è quanto mai anacronistica.
